Galleria ArtEX - Todi Umbria
The shape it takes
CK: Entrambe avete pratiche impegnative dal punto di vista materiale e di lavoro. Lucy lavora con i pigmenti di terra; Esther lavora con i tessuti, lavorando con fili e ricamando sui tessuti. Potreste parlare brevemente del lavoro della vostra pratica artistica e del perché continuate ad essere attratti da questo metodo lento?
ES: È proprio la lentezza nel mio lavoro che mi rispecchia di più, che mi interessa come tema molto importante. Tutto il mio lavoro parla di tempo, meditazione, spiritualità.
La ripetizione infinita del gesto con ago e filo, e anche le mie mani che fanno migliaia di nodi, creano un dialogo intenso tra il mondo e il mio essere interiore.
Siamo tutti interconnessi e c'è una grande responsabilità che deriva dal fatto di esistere in questo mondo. Viviamo tutti insieme qui e dobbiamo trovare il modo di coesistere.
Punto dopo punto, nodo dopo nodo, contiene riflessioni sulla speranza, la consolazione, la felicità e l'amore per tutta l'umanità e tutti gli esseri viventi, e questo deve essere fatto ogni giorno, per ore, per giorni, per mesi, sempre, lentamente e con profonda dedizione.
CK: Ci troviamo in un luogo storicamente famoso per l'arte figurativa e rappresentativa. Eppure, nonostante gli oggetti riconoscibili nelle opere in mostra, percepisco il ruolo dell'astrazione. Come fate ad attingere a questa storia, ma anche a resistere, come artisti del XXI secolo, per esprimere la contemporaneità?
ES: Sono tedesca, ma vivo in Italia da 40 anni e ho studiato all'Accademia di Belle Arti di Carrara, quindi la mia formazione artistica è avvenuta in questo bellissimo paese. Un'educazione classica fatta di disegno, modellatura, imparando a lavorare la terracotta, il gesso, il marmo e il bronzo. Se fossi rimasta in Germania, sarei sicuramente diventata un artista diversa. Ma qui ci sono raffigurazioni di Madonne ovunque, paesaggi di Giotto, aureole, oro, si respira arte in ogni angolo, in ogni villaggio. Il mio lavoro è completamente intrecciato con la mia vita, quindi quando questa è cambiata drasticamente, il mio lavoro l'ha seguita. Io stessa sono diventata più astratta nei miei pensieri, nel guardare il mondo.
Essere costantemente sulla mia strada mi ha portato sempre più verso l'astrazione e il mio interesse per l'espressione della spiritualità piuttosto che per la rappresentazione della figura è in continua crescita.
CK: Come scrittrice ho bisogno di periodi nel mondo, di vedere e pensare in comunità, e altre volte ho bisogno di solitudine per pensare ai miei propri pensieri. Quando, durante la realizzazione di un lavoro, sentite il bisogno di una comunità, di colleghi o amici che vi forniscano un feedback critico e come riconoscete i momenti in cui dovete ritirarvi per stare lontano dal clamore delle opinioni del mondo?
ES: Vivo una vita molto riservata, e a parte mio figlio Vincent vedo solo poche persone. Lui è il miglior critico, e ogni volta che ho dei dubbi la sua posizione di osservatore è incomparabilmente accurata. Lo scambio con i miei amici, la maggior parte artisti, è sempre illuminante ed intimo allo stesso tempo, siccome le nostre conversazioni sull'arte, la spiritualità, gli eventi mondiali, l'amore e le relazioni ci danno la gioia di sentirci in comunità, e dopo, tutti via nello studio.
Ma la frase TUTTE LE RISPOSTE SONO ALL'INTERNO, che sto ripetutamente coinvolgendo nel mio lavoro, ricamandola, pensandola è più che un'affermazione la profonda consapevolezza della necessità di trascorrere la maggior parte del mio tempo da sola a lavorare. TEMPO è la parola magica, lavorare sempre e costantemente, e quindi voglio essere da sola piu che posso.
CK: A proposito di comunità, il mondo e il mercato dell'arte non sono sempre stati favorevoli alle artiste, come se la loro femminilità le separasse in qualche modo da tutti gli altri artisti. Ha vissuto questa esperienza e come l'ha affrontata?
ES: Sono completamente d'accordo con la tua osservazione anche se non ho sperimentato personalmente la discriminazione delle donne nel mondo dell'arte. Ammiro tutte le artiste che si sono battute per l'uguaglianza e continuano a farlo perché ce n'è ancora bisogno. Ma ho sempre guadagnato più di altri amici artisti maschi, ho vinto concorsi per spazi pubblici quando lavoravo ancora in bronzo, anche se sono stata più di una volta l'unica artista donna invitata.
Che i colleghi artisti maschi fossero preferiti a me in quanto donna non ha mai attraversato il mio percorso artistico.
Ma questo non significa per niente che non abbia dovuto emanciparmi nella mia vita privata, nel mio rapporto con gli uomini in generale.
CK: Un adagio del femminismo della seconda ondata dice che il personale è politico. Sebbene la vostra arte sia autonoma, siete entrambe madri e avete cresciuto un figlio in modo indipendente. In che modo questo ha informato o influenzato la vostra pratica artistica?
ES: La nascita di mio figlio nel 2000 ha capovolto la mia vita degli ultimi 17 anni, perchè nonostante un bambino da entrambi desiderato, mio compagno di vita ci ha lasciato all' improvviso. Tutti e due scultori, lavorando insieme, facendo mostre insieme, mi sono trovata ad un tratto da sola con un bambino. Non era piu' possibile modellare nello studio troppo freddo e polveroso, quindi dovevo trovare un altra soluzione per poter lavorare sempre, come ero abituato. Cosi ho iniziato a ricamare, e mi sono creata il mio 'studio mobile'. Siccome Vincent ed io vivevamo in una casa assai isolata sulle colline versiliesi e per tutte le sue attivita' tra lezioni di chitarra, Hip- Hop, Aikido, teatro, fotografia, calcio, surf, compleanni di amici, e cosi via dovevamo scendere a valle, mi preparavo anch'io la borsa col mio ricamo, e dovunque lo portavo, aspettavo fuori nel mio pulmino molto accogliente e lavoravo.
Con gli anni mi sono trasformata da una scultrice in un artista che lavora con i tessuti, con stoffe antiche e contemporanei che amo cosi tanto, con ago e filo, sempre lavorando a mano come una volta, ma non piu con terracotta e bronzo. Sono felice di essere autonoma, fiera di aver cresciuto mio figlio adorabile da sola e di essere sempre in ottimi rapporti molto amichevoli con suo papà.
Charlotte Kent - 2024
Mio fratello Matthias mi presenta
Esther Seidel (8.2.1964) ha studiato scultura all'Accademia di Belle Arti di Carrara ed é li che comincia il suo percorso artistico con la scultura figurativa, a cui si dedica come modellatrice e scultrice della pietra. Già nei suoi studi il corpo umano è la sua materia principale ed il suo interesse centrale è l'interazione tra l'interno e l'esterno di una persona, tra essenza e forma.
Dall'inizio della sua attività artistica si é stabilita in Italia, dove sviluppa un forte rapporto con i materiali locali e le loro specifiche qualità: le sculture in pietra e marmo, le sculture in terracotta e le fusioni del bronzo con le sue numerose fasi intermedie in silicone, gesso e cera ne caratterizzano la sua manualità e capacità di dare forma.
Dagli anni Novanta Esther Seidel ha progettato numerosi spazi pubblici con gruppi di sculture in bronzo, le quali sono caratterizzate dalla rappresentazione realistica di persone contemporanee. Come figure a grandezza naturale sono raffigurate con tutti gli attributi dell'aspetto quotidiano, soprattutto l'abbigliamento attuale, ed essendo sempre posizionate direttamente a livello dei pedoni, vi entrano in un dialogo diretto, sia tattile che visivo.
A partire dal duemila circa, contrappone le sue opere scultoree alle immagini di ricamo tessile. In questi ritratti, l'artista riconduce le persone ritratte dalla fisicità plastica in immagini bidimensionali. Per fare questo, prima dissolve la loro immagine attraverso un processo di rastering grafico, la trasferisce su un tessuto e poi la condensa di nuovo attraverso il ricamo con fili di lana. Questo momento tessile interagisce con le piccole e medie sculture di questo periodo, in cui forma sempre più spesso l'abbigliamento delle sculture con tessuti reali, come seconda pelle delle persone, e come caratteristica del design individuale, si stacca dalla scultura e diventa così un tema indipendente. Da quel momento il suo lavoro scultoreo ha significato, da un lato, la modellazione delle figure come corpi individuali e, dall'altro, il loro avvolgimento con tessuti che ne forniscono la trama esterna.
Il focus sull'arte tessile è aumentato negli anni successivi. Esther Seidel si è interessata sempre più alle qualità materiali dei tessuti, alle loro caratteristiche tattili e cromatiche, nonché alla loro lavorazione e composizione. Questo ha portato, dalla metà degli anni 2010, a far si che il corpo, busto escluso, si dissolva completamente nel tessuto e che le figure superino le misure a grandezza naturale.
Dal punto di vista dei contenuti, si intensifica la sua ricerca di espressioni della dualità dei mondi interiori da un lato e, dall'altro, delle domande universali sul significato dell'essere. Nelle sue opere trascende, sullo sfondo di domande biografiche-personali, la propria esperienza interiore al cosmo esterno onnicomprensivo. Si occupa in particolare del fenomeno dell'amore universale, della protezione delle persone e della loro esistenza data dalle forze cosmiche. Per illustrare questo, si concentra costantemente sulla propria relazione con se stessa, presentandosi come la personificazione di una figura di Madonna nel cosmo, rappresentando e simboleggiando la posizione centrale che ogni individuo occupa tra l'esistenza fisico-terrestre e il mondo trascendentale-metafisico. Per illustrare questo collegamento, si riferisce anche ad una varietà di simboli religiosi e in parte utilizza reperti tessili di origine liturgica. Il risultato sono quadri tessili ed arazzi di grande formato, come collage e composizioni, con motivi che permettono una varietà di associazioni con l'arte religiosa tradizionale, ma che sono opere d'arte completamente innovative, tecnicamente e simbolicamente di alta qualità.
Ute Stuffer im Dialog mit Esther Seidel 7.4.2021
UTE STUFFER:
”Menschsein heißt Leben mit Stoff", mit diesen Worten brachte Beverly Gordon unsere lebenslange Verbindung mit dem Textilen auf den Punkt. Sie reicht buchstäblich von den Windeln zu Beginn unseres Lebens über die Kleidung als Schutzfunktion – mit der wir zugleich unser persönliches und kulturelles Verständnis zum Ausdruck bringen – bis zum Leichentuch oder anderen Stoffen, die unseren toten Körper bedecken. Körper und Stoff sind kulturgeschichtlich von Beginn des Lebens miteinander verbunden.
In Deinem, für viele Dekaden figürlich bildhauerisch geprägten Werk, hat das Textile als Medium seit 2000 eine entscheidende Rolle eingenommen. Vorab ganz allgemein, was fasziniert Dich am Medium Textil?
ESTHER SEIDEL:
Deine Frage ist so direkt und klar, und ich würde gerne genauso darauf antworten. Trotzdem überrumpelt sie mich fast. Vielleicht weil man etwas, das so selbstverständlich immer schon da war, gar nicht in sich erforscht oder hinterfragt?
Die Faszination und Liebe zum Textilen war seit ich denken kann immer da!
Schon als kleines Mädchen gehörte zu meinen Lieblingsspielen die Kleiderkiste, "lange Kleider spielen", das sich verkleiden, verhüllen, die Schutzmantelmadonna spielen oder sein, die die kleinen Geschwister unter ihre Fittiche nimmt, mit Schleier und viel Stoff.
Später als Jugendliche lernte ich begeistert Wolle spinnen, und stickte alle "wichtigen Briefe" auf Papier. Worte aus Fäden, Seide und feinster Wolle, auf Karton, Bütten - und Packpapier. Das wirkte wie ein feines Gewebe.
Mutter schneiderte uns Kleider, und mein Bruder nähte sich jahrelang alles selbst.
Mich außergewöhnlich zu kleiden, mit langen Gewändern, Umhängen, einem tunesischen Burnus, einem nachtblauen Cape mit Kapuze, war mir wichtig, eine Notwendigkeit.
Auch in vielen meiner Skulpturen in Bronze, Stein oder Terracotta findet sich das Gewebe, die Textur der Stoffe wieder, entweder eingraviert in die Oberfläche des Steins, oder ich drückte beim Modellieren verschiedene grobe und feine Textilien auf die noch weiche "Haut" der Arbeit in Ton, damit der Stoff als Element sichtbar wurde.
Das Zitat von Beverly Gordon mit dem du unseren Dialog einleitest, "Menschsein heißt Leben mit Stoff " ist wunderbar und schließt tatsächlich ein riesiges Gebiet in Zeit und Raum ein. Es bestätigt meine Reflexionen in Bezug auf mein verwoben sein mit Stoff seit Kindertagen, und die ständige, intensive Entwicklung der textilen Arbeiten je weiter ich im Leben gehe.
Zu nahezu jeder meiner Arbeiten finden sich Bezüge in meiner Kindheit. Der Bezug zum Textilen ist wirklich tief und seit jeher in mir verwurzelt und mit mir gewachsen, und ist letztendlich zu DEM Medium meiner Kunst geworden.
Das künstlerische Arbeiten geht oft eigene Wege, es ist intuitiv und instinktiv. Man ist im intensiven Zwiegespräch mit der eigenen Kunst, es ist wie ein organisches Gebilde, eigenen Gesetzen unterworfen, eine Symbiose, du und deine Arbeit.
Wenn ich Stoffe berühre, seien es antike handgewebte oder moderne Textilien, oder sie abgebildet sehe, manchmal sogar nur wenn ich das Wort ´Stoff´ in einem Buch lese, löst das eine starke Emotion in mir aus.
Seien es die "textilartigen" riesigen Wandbehänge des afrikanischen Künstlers El Anatsui, die Jaquard gewobenen Teppiche von Kiki Smith, die mit Maschine genähten Stoffbuchseiten oder Weltkarten von Maria Lai, die poetisch, tragischen Stoffarbeiten von Tracy Emin, die weinenden Stickbilder von Riccardo Vezzoli , die gigantischen Verhüllungen ganzer Gebäude in Jutesäcke des 1987 geborenen Ibrahim Mahama, die Arbeiten der hoch interessanten türkischen Textilkünstlerin Günes Terkol oder die Haarbilder der in Beirut geborenen Mona Hatoum, all diese Werke rühren mich tief an, als seien deren Fäden mit meinem Inneren verwoben.
Kiki Smith sagte kürzlich in einem Interview: "The main thing is, that you follow your work and follow it as truthful as you can. Even if it brings you into ditches, but rather than holding the idea of how you want it, rather than to manipulate your life to be in a particular way, let your life just unfold yourself.”
UTE STUFFER:
Zunächst möchte ich auf Deine 9-teilige fotografische Serie Mantling (2017) eingehen, da sie in meinen Augen wesentliche Punkte Deines Werks vereint. Im Mittelpunkt jeder Fotografie steht der verhüllte menschliche Körper, der eine skulpturale Präsenz und einen innigen Dialog zum Außenraum entfaltet. Welche Rolle spielt die Materialeigenschaft der Stoffe, ist sie Beginn und Stimulanz der jeweiligen Arbeit? In welchem Moment ist das Zusammenspiel von Körper, Stoff und Umgebung im fotografischen Raum für Dich stimmig? Gibt es religiöse Bezüge? Und wann wurde in Deinem Werk das Medium Fotografie relevant?
ESTHER SEIDEL:
Deine Frage zur Mantling Serie gefällt mir sehr. Ich arbeite seit 2017 immer wieder an den ‘Verhüllungen‘, sie nehmen mehr und mehr Raum in meiner Projektwelt ein.
Jeder meiner Stoffe inspiriert mich tatsächlich auf seine Weise. Farbe, Dichte und Textur lassen mich den Ort finden, in welchen ich mich einfüge. Ich schlüpfe unter den Stoff und jedes Mal fühlt es sich so an als würde ich unsichtbar, verwoben mit der Natur.
Das intensive Wahrnehmen der Atmung unter den teilweise schweren Textilien, die sofortige Verstärkung aller Geräusche, die Dunkelheit mit vereinzelten Lichteinbrüchen sind zu vergleichen mit dem Eintauchen unter Wasser, ohne die Luft anhalten zu müssen.
Es ist eine körperliche Erfahrung, es geht um die innige Verbundenheit mit der Natur und um meine Spiritualität.
Eines meiner grundlegenden künstlerischen Themen ist INNEN=AUSSEN. Ich suche beständig nach diesem Zusammenhang.
In diesem Arbeitszyklus werde ich unter dem Material Stoff tatsächlich zur lebendigen Skulptur, bin nicht mehr Schöpferin, sondern selbst Kunstwerk, intensiv mit mir selbst und der Welt um mich verbunden. Und in der Fotografie festgehalten, kann ich mich wiederum selbst von außen betrachten.
Patrick fotografiert mich. Seit 36 Jahren begleiten wir einander, die Rollen waren verschiedene, erst Studienkollegen, dann Liebespaar, nach 17 Jahren Eltern unseres Sohnes, dann getrennt, aber immer beste Freunde und gleichbleibend einander bei unserer Arbeit bereichernd.
Du fragst nach religiösen Bezügen.
Glaube, Vertrauen, Liebe, Gebet sind Worte die sich die Religionen einverleibt haben, sie sind für viele Menschen, mich selbst inbegriffen, wenn nicht sogar negativ belastet, so doch irgendwie schwierig.
Ich selbst bin vor Jahren aus der Kirche ausgetreten, trotz oder vielleicht gerade wegen der von meiner tief religiösen Mutter sehr ernst genommenen katholischen Erziehung.
Aber ich taste mich an die Worte heran, kaue auf ihnen herum, denn ich GLAUBE, zwar nicht an Gott, aber an mich selbst, an das Vertrauen und die Liebe, die mir niemand außer ich selbst geben kann.
Das will ich umsetzten, meine Arbeiten drücken genau das aus.
Verhüllt, stillstehend, atmend, die nackten Füße auf der Erdkruste als wäre ich aus ihr herausgewachsen, ist das eine religiöse Erfahrung, oder eine spirituelle oder eine sinnliche, oder einfach das was Ich gerade machen muss?
Noch eines meiner Lieblingszitate von Kiki Smith:
“My work does what it does, and I just try to follow it. I would love to be a much better artist but you are just who you are and you are given what you are given. And the next person is given what they are given.”
UTE STUFFER:
Das Stoffliche hat über die textile Arbeitsweise des Stickens Eingang in Dein Werk gefunden. Lange Zeit haftete der textilen Arbeitsweise der Ruch des bloß kunstgewerblichen und der pejorative Unterton der weiblichen Hausarbeit an und wurde die textile Arbeitsweise weitgehend marginalisiert. Das Sticken steht für eine repetitive, langsame Tätigkeit, die eine ruhige konzentrierte Aufmerksamkeit fordert. Welche Qualitäten bietet Dir die Technik des Stickens?
ESTHER SEIDEL:
Ja, du hast Recht, zuerst entdeckte ich das Sticken für mich, und erst danach wurde ich immer mehr zur Textilkünstlerin.
Mein künstlerischer Werdegang geht, wie schon gesagt, seit jeher Hand in Hand mit meiner Biographie.
Nach 17 Jahren zusammenleben und arbeiten mit Patrick, nach unzähligen gemeinsamen Ausstellungen und Projekten, kam wie gesagt im Jahr 2000 unser Sohn Vinzent zur Welt.
Nur wenig später zerbrach unsere Ehe und Patrick verließ uns, trotzdem blieben wir enge Freunde.
Aber mein Leben veränderte sich durch den Verlust meines jahrelangen Vertrauten und die völlig neue Situation des Mutter-Seins von Grund auf.
Es war unmöglich geworden, stundenlang im staubigen und ungeheizten Atelier zu arbeiten, mit Ton oder Gips ständig dreckige Hände zu haben. Ich musste mir etwas anders überlegen, um weiter künstlerisch arbeiten zu können und gleichzeitig Vinzent bei mir zu haben, für ihn da zu sein.
Denn das wollte ich! Ich genoss es, Mutter zu sein, von Anfang an bis heute, 21 Jahre später. Aber auf keinen Fall wollte ich aufhören, meine Kunst zu machen.
Ich begann mich zu fotografieren, es entstanden Selbstporträts, die ich am Computer bearbeitete: Ich legte ein Raster auf die Vorlage, um dann Quadrat für Quadrat, oder Zeile für Zeile, mit Wolle auszusticken.
So erfand ich mein "mobiles Atelier", denn die Stickarbeiten konnte ich überall hin mitnehmen. Am Anfang auf lange Spaziergänge am Meer, und sobald Vinzent eingeschlafen war wurde gearbeitet. Später dann auf Kindergeburtstage, zu Zahnarztbesuchen, zum Hip- Hop, Fußball und Aikodo Training, in Fotografie- und Theaterkurse ... rein in meinem zum Arbeitsraum ausgerüsteten Bus, runter ins Tal, Vinzent steigt aus, Stickzeug raus ... und danach wieder hoch in die toskanischen Hügel.
Das Sticken ist wunderbar langsam, meditativ, und die sich wiederholenden Gesten des Setzens und Führens von Nadel und Faden entspricht mir so sehr, dass dieser Arbeitsprozess aus meinem Leben nicht mehr wegzudenken ist. Parallel zu den großen Arbeiten die zu Hause entstehen habe ich immer ein Stück Stoff in Bearbeitung das ich überall hin mitnehmen kann.
Die Qualität des Stickens liegt tatsächlich darin, dass ich immer und überall mit meiner Arbeit verbunden bin. Am Anfang als Vinzent klein war und sehr viel Zuwendung im Alltäglichen brauchte, wie alle Kinder, war das Gefühl nicht "nur" Mutter, sondern weiterhin Künstlerin zu sein, sehr wichtig für mich, und das Sticken zog meine Gedanken konzentriert in meine Arbeit hinein.
Es stimmt, dass die Arbeit mit Textilien und vielleicht besonders das Sticken lange in die Handarbeitsecke gedrängt wurde. Aber wenn man bedenkt, dass Anni Albers 1899 geboren wurde und zu den wichtigsten Künstler:innen und Lehrer:innen des Bauhaus gehörte und seither eine der wichtigsten Textilkünstlerinnen überhaupt ist, und dass es unzählig viele berühmte Künstler:innen wie Magdalena Abakanowicz, Sheila Hicks, Alighiero Boetti, Maria Lai gibt, die alle in den 1930iger Jahren geboren wurden und sagenhafte Werke aus Stoff hergestellt haben, dann darf man dem textilen Schaffen von Künstler:innen ohne Zögern einen richtig großen Stellenwert einräumen.
UTE STUFFER:
Seit 2003 ist das Selbstporträt als selbstreflexive Kunstform immer wieder Ausdrucksform in Deinem Werk. Die Stickbilder mit Nahsicht Deines Gesichts mit zumeist geschlossenen Augen wurden abgelöst durch figürliche Selbstbildnisse, in denen Dein Körper von ausladenden Stoffen ummantelt ist. Diese Materialcollagen aus Fotografie, Stoff, Stickerei und Holz verbinden palimpsestartig mehrere Ebenen und eröffnen allegorische, christliche und kosmologische Bezüge. Kannst Du näher auf die verschiedenen Referenzen und Materialien in Deiner großformatigen Arbeit CONNECTING (2019-2020) eingehen und die Rolle des Selbst spezifizieren?
ESTHER SEIDEL:
Wie erwähnt änderte sich im Jahr 2000, mit Vinzents Geburt und dem neuen Abschnitt Ohne-Mann-aber-mit-Kind-sein mein gesamtes Leben. Und somit veränderte sich sowohl die Arbeitsweise, als auch das Material als der Ausdruck meiner Arbeiten.
Auch der Schaffensort änderte sich so mit dem Fortlauf der Jahre, die großen Textilwerke entstehen in meinem Haus, auf dem Boden. Ich lege alle Stoffe aus, füge hinzu, nehme weg, suche nach den passenden Material - und Farbübereinstimmungen, der Prozess des Komponierens gleicht der Herstellung eine Collage. Dann wird Schicht um Schicht vernäht und aufgenäht.
Die aufwendigen Selbstporträts sind alle handgestickt, in meiner Arbeit CONNECTING wieder im Rasterverfahren, Quadrat um Quadrat. Die Kontinente und das Kleid sind aus Hanffaser, antike Blumen formen den Erdkreis, die Stoffe und Sterne sind aus verschiedensten Stoffen, die ich ständig suche und finde, zusammengestellt.
Wichtig ist mir zudem die Rückseite meiner Arbeiten: Sie sollen auch frei im Raum hängen können, nicht nur an der Wand. Jedes Detail ist wichtig und wird mit großer Aufmerksamkeit bedacht.
Ich habe ein Jahr lang an CONNECTING gestickt, nicht ausschließlich, denn ich habe immer mehrere Projekte in Bearbeitung, aber ich habe 2019 begonnen und im März 2020 genau vor dem ersten großen Lockdown in Italien war die Arbeit beendet.
Die inhaltliche Dimension der Arbeit möchte ich versuchen, etwa so zu fassen: Fragen ‘Wer bin ich‘ und ‘Wo stehe ich‘ wurden in meinem Leben und durch seinen Verlauf immer dringlicher... jetzt Mutter, Künstlerin und Frau, anders als vorher, Künstlerin, Frau und Gefährtin... Ich wollte mich selbst genau betrachten, und die geschlossenen Augen waren seit jeher mein Blick nach Innen, die Konzentration und Vernetzung mit mir Selbst.
Die grundsätzliche Erkenntnis, die sich im Laufe der fast 20 Jahre des Arbeitens unter diesen Voraussetzungen immer weiter in mir ausgebreitet und verdichtet hat, und die zu einem festen Bestandteil meines Lebens wurde, will ich durch ein Zitat von Albert Einstein hier einfügen:
“Der Mensch ist ein Teil des Ganzen, das wir ‘Universum’ nennen, ein in Raum und Zeit begrenzter Teil. Er erfährt sich selbst, seine Gedanken und Gefühle als getrennt von allen anderen - eine Art optischer Täuschung des Bewusstseins. Diese Täuschung ist wie ein Gefängnis, das uns auf unsere eigenen Vorlieben und auf die Zuneigung zu wenigen Menschen beschränkt, die uns nahestehen. Unsere eigentliche Aufgabe besteht darin, uns aus diesem Gefängnis zu befreien, indem wir unser Mitgefühl und unsere Fürsorge auf alle Wesen und die Natur in ihrer ganzen Schönheit gleichermaßen ausdehnen. Auch wenn uns das nicht vollständig gelingt, so ist doch bereits das Streben nach diesem Ziel ein Teil der Befreiung und die Grundlage für das Erlangen inneren Gleichgewichtes.”
Ich habe sehr viel durch Verlust, Schmerz, durch Vinzents Geburt, Liebe, Fürsorge, Freundschaft, Einsamkeit, Glück, Vertrauen, Nachsicht, Trauer, Verzeihen und Loslassen gelernt, wie wir Alle, und natürlich habe ich nach meinem Gleichgewicht gesucht, und je mehr ich das in mir fand desto augenscheinlicher haben sich die Arbeiten verändert.
Stellvertretend für alle Frauen, die Beschützerinnen, die Allesumarmenden, die Trostspendenden, Hoffnunggebenden, die Mütter, Geliebten, Freundinnen, stelle ich mich in meiner Arbeit CONNECTING, den Blick ins Universum gerichtet, die Welt als mein Gewand dar.
Es geht um den Glauben an mich selbst, an die Kraft in mir, um meine Verantwortung als Mensch.
Meine Hände beten nichts " Höheres" an, sondern schließen sich um mein Innerstes, um den Ursprung jeden Gedankens der in mir wächst. Innen ist gleich außen, das heißt, in mir gibt es jede Antwort.
ALL THE ANSWERS ARE INSIDE.
Il concetto DENTRO = FUORI
L’esperienza di un mondo troppo pieno, di spazi interiori troppo arredati dal futile e dal banale, è tipica dell’uomo e della donna del XX e del XXI secolo. Fu Walter Benjamin a parlare di «uomo ammobiliato» per intendere la colonizzazione dello spazio interiore da parte di oggetti e di immagini che letteralmente non lasciavano più spazio per riflettere, stare da soli, pensare. Lo spazio interiore è a tal punto colonizzato da «cose» irrelate che ci risulta difficile trovare un momento per quella penetrante e profonda solitudine dalla quale nasce l’ispirazione artistica o l’intuizione filosofica; anche quando siamo da soli il mondo ci penetra dentro, non con la legittima esigenza di socialità e di socializzazione (per cui non si è mai del tutto da soli perché tutto il mondo è riflesso dentro di noi) ma con una presenza ingombrante e non richiesta. Siamo abitati dal mondo e questo ci rende difficile abitarlo in senso proprio e compiuto.
Occorre allora una pedagogia degli spazi vuoti come operazione preliminare di un’educazione dell’anima; occorre che i soggetti siano allenati a creare dentro se stessi quelli che definiamo buchi bianchi, ossia frammenti di interiorità che salviamo dall’assedio, rettangoli di senso e di sé che sottraiamo alla dittatura di un mondo che ci ammobilia dentro. Se occorre educare a creare i propri buchi bianchi è però vero che non c’è buco bianco al nostro interno se non ci sono spazi e tempi del disimpegno all’esterno. È ricercando o creando i buchi bianchi nella propria giornata e nel proprio ambiente di vita e di lavoro che è possibile creare le condizioni per un vuoto spirituale interiore.
Il concetto di dentro/fuori dell'anima è il filo conduttore di tutta la ricerca artistica di Esther Seidel, il fuori dell'anima possiamo identificarlo come le apparenze del mondo quotidiano in cui l'uomo e la donna contemporanea sono immersi e diventano il soggetto privilegiato delle sculture e dei ricami dell'artista: le persone del nostro tempo, noi, voi stessi, considerati nel rapporto con la condizione esistenziale, con lo spazio vivibile, di relazione, ma ancora di più, o, ancora meglio, con lo spazio interno, psichico, con l'ànemos pulsante intimo, il dentro dell'anima che urge nel corpo, ne tende la superficie espressiva, gli detta il tempo di azione, la stasi riflessiva, la dinamica, il gesto. Una sola sfera esistenziale che dialoga con il dentro e il fuori che si realizza nello spazio grazie al materiale lavorato e impiegato dalle esigenze dell’artista.
Esther Seidel nasce dalla scultura classica appresa dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, una tecnica pesante e lenta che prendeva totalmente la sua vita e il suo fisico, durante e immediatamente dopo la gravidanza riscopre il fascino della fotografia e dell'uso del computer e raccogliendo i fili della sua vita incontrò la lana, la stoffa e la seta. Il desiderio di eseguire questo lavoro femminile le permetteva di stare sempre vicino al suo bambino, ritrovando quella sua libertà che stimolò la sperimentazione della sua ricerca artistica. Da quest’unione, scultura e ricamo, pietra e stoffa, bronzo e lana, sono scaturite visioni che hanno riportato Esther ai suoi inizi nella scultura e le consentono di esprimere in modo nuovo le sue emozioni in arte. Quindi le sue varie attitudini artistiche dialogano insieme formando un’unica grande gesamtkunstwerk che racchiude il lavoro di una parte di vita.
La scultura di Seidel avverte e comunica la minaccia di riduzione dello spazio di vita e il contrarsi dello spazio psicologico con straordinaria immediatezza, e non soltanto nelle sue inflessioni più stravolte e più dolenti, ma in una davvero sorprendente varietà di situazioni, di punti di vista (e di ascolto) che ora esaltano la materia, l'imporsi della fisicità, della corporeità come architettura nello spazio, ora la tensione comunicativa in forti scansioni espressioniste o anche in movimenti intensamente neobarocchi, ora impone l'articolarsi di un gesto che attiva lo spazio/ambiente, ora una luce che sembra intervenire a percorrere, levigare, rastremare le superfici, riducendone la massa, il peso, la ‘corazza' e guidando la percezione sempre più esplicitamente verso il ‘core', il nucleo più interno, segreto, il dentro dell’anima.
Nei suoi lavori oggi, l’artista riscopre la lentezza propria della scultura e che lei tanto amava, ma non più la pesantezza data in prevalenza da quelle che erano per lei le grandi dimensioni dovute alle commissioni private che erano alla base del suo lavoro. La ripetizione del gesto con ago e filo, così umile ma allo stesso momento profondo e meditativo, sono diventati il suo legame di comunicazione emotiva per far vivere le varie tecniche in un’unica espressione che prende forma dall’esperienza.
L'idea di proporre un video all'interno della mostra nasce da questo continuo desiderio di Esther Seidel di sperimentare nuove tecniche e tecnologie, in particolare di inserire la sua vita privata (il dentro dell'anima) in quella che diventa grazie all'arte uno spazio pubblico dove mostrarsi. Il video dal titolo "Autor de la lune" è la sintesi di quanto detto in precedenza: la scultura con il tempo lascia spazio alla fotografia da cui nasce poi il ricamo, il ricamo torna nella scultura formando una sintesi di quella sua ricerca artistica o meglio del suo ‘fare arte’. Tutto questo viene mostrato allo spettatore della mostra grazie al video che diventa la ‘somma’ di tutte le tecniche in una sola, i passaggi che hanno portato a vedere oggi, nel progetto site-specific per la Green House della Fondazione La Versiliana, tutto il lavoro dell'artista.